domenica 3 dicembre 2006

...qualche notizia sul vintage

Il termine vintage inizialmente venne coniato per indicare i vini prodotti nelle “annate” migliori, da quel momento vintage divenne sinonimo di “d’annata”.
Dagli anni ’90 in poi si comincia, almeno in Italia, a confondere il vintage con “l’usato”, un usato che si fa portatore di importanti valori, primo fra tutti la memoria. In Italia, momento centrale della moda vintage è la fiera dell'usato che si tiene al Castello di Belgioioso, in provincia di Pavia. Ma il suo fascino non è solo tutto qui, nel sapore rétro di accessori e mise "riciclate" dagli anni '50, '60 e '70.
Nel 1971 Yves Saint Laurent ha lanciato ufficialmente lo stile retrò e la moda del mercatino. Adesso dopo più di trent'anni il Vintage torna di moda forse per due ragioni: internet, che facilita la ricerca di capi originali in tutto il mondo, e il cambio del secolo. La moda Vintage è stata rilanciata dalle dive di Hollywood e dalle top-model da quando hanno cominciato ad indossare gli abiti di una volta, ma combinandoli in modo originale con abiti moderni. Madonna e Gwyneth Paltrow sono tra le più illustri clienti dei coniugi Chatenet, a Parigi, specializzati nel Customized vintage (ovvero abiti rimodernizzati).
Il vintage style è il risultato di una serie di elementi, quali: nuovo modo di apparire, economicità nella cura del look (anche se ciò non sempre corrisponde a verità, in quanto il vero “pezzo” vintage può essere molto costoso se “pezzo unico”), opposizione al regime del “fare tendenza”, visione nostalgica quasi emozionale dell’abbigliamento.
Paolo Tancredi, in un saggio pubblicato sulla rivista dell’associazione italiana degli studi semiotici on-line, definisce il vintage come il gemello cattivo della moda istituzionalizzata, il Mr. Hyde sfuggito al controllo del Dr. Jekyll. Ugo Volli, invece, parla del fenomeno ascrivendolo all’ottica postmoderna, intendendo per postmodernismo «quella strana configurazione di eventi culturali e sociali» in cui si ha la caduta delle ideologie, il pluralismo, il meticciato, la bizzarra mescolanza tra locale e globale.
Nel vintage si ha un sovvertimento dei consueti meccanismi che contraddistinguono la moda e che ne regolano le dinamiche, “per cui il valore semiotico di un abito diventa più importante dell’abito stesso”, influenzando i ritmi consumistici della moda. Questa è cambiamento, movimento, instabilità, passaggio, è un susseguirsi di cicli, per cui ciò che è di moda oggi non lo sarà domani e non è detto che torni ad esserlo in futuro. Il flusso della moda cerca di volta in volta di imporsi come standard, ma appena questo standard cade nel banale ecco che si riattiva la ricerca del nuovo, di ciò che sraà trend nella stagione seguente, e così nuovi cicli faranno parte di questa incessante dinamica.
Il vintage si è ritagliato uno spazio tutto personale all’interno del fenomeno moda, uno spazio che include tutto ciò che non è istituzionale, che ha un particolare carattere eversivo nell’economia del sistema della moda: il vintage come forma di “antimoda”, come sperimentazione contrapposta alle leggi stilistiche delle stagioni; è rifiuto delle gerarchie, dell’autorità, è rivoluzione anarchica, reazione alla mancanza di praticità, all’ostentazione, alla volubilità. Possiamo dunque dire che moda e vintage seppur in antitesi sono anche interdipendenti tra loro, in quanto l’esistenza dell’altro diventa conditio sine qua non per l’esistenza dell’altro.
A questo proposito utile e divertente è la distinzione, operata da studiosi del settore e sociologi, tra Top model e Pop model. Se la prima sembra rimandare ad una definizione conosciuta, con la seconda ci si riferisce ad una donna comune, una «modella quotidiana, figura che in ogni luogo del vivere contemporaneo riesce a dar senso ad un gesto, a un’acconciatura, ad un indumento.» (Calefato, 1999). Potremmo dunque dire che vintage sta a pop model come moda sta a top model.
Vintage inteso come ciò che ha un grande potere evocativo, che può essere di un ambiente, di un’epoca, di uno status. Il vintage rimette in gioco l’individuo e il ruolo sociale originariamente espressi da un abito o da un oggetto; mette in relazione passato e presente o di una stessa persona o di persone diverse (nel caso di oggetti o abiti appartenuti, ad esempio,a grandi personalità del mondo dello spettacolo). Così le caratteristiche apparenti perdono il loro significato, la loro peculiarità che resta confinata solo ad un ambito prettamente visivo. «Quel che resta del significato originario viene trasformato e mitizzato.» (Steele). Con il vintage si produce quella che Calefato definisce come “ecologia dell’abbigliamento”, in cui c’è riciclaggio, aggiornamento e creazione di nuovi sensi all’interno di nuovi contesti, mettendo in discussione i concetti di stile e di gusto. Emblematico in tal senso è ricordare la lavorazione del film Evita (di Alan Parker), nel 1996, basato sul musical omonimo (di Andrew Weber e Tim Rice), in cui l’intero guardaroba del film riproduceva lo stile di Eva Péron (conosciuta in Argentina come Evita), la quale vestiva Christian Dior; la produzione ha recuperato un pezzo originale appartenuto alla Péron, un abito da cocktail azzurro abbinato ad una acconciatura di piume. Un altro esempio è costituito dal primo video musicale del solista di Beyoncè Knowles, componente del trio Destiny’s Child, intitolato “Work it out” e tratto dalla colonna sonora del film comico “Austin Powers in Goldmember”, parodia degli agenti segreti alla 007 ideata dall’attore Mike Myers, di cui la Knowles era protagonista. Il film così come il suo personaggio la detective Foxxy Cleopatra, richiama le atmosfere anni ’70, i tempi della famosa discoteca “Studio 54” di New York e della moda dei pattini roller. Il brano della Knowles riproduce le immagini del film e lo stile di quegli anni, con scenografie psichedeliche, band con fiati, coriste ballerine e costumi di scena e acconciature afro adeguate. Per quanto riguarda l’abbigliamento utilizzato per il video, sono stati selezionati alcuni costumi dell’epoca appartenuti a cantanti come Cher e Tina Turner. Il video di Beyoncè rappresenta la summa del concetto di vintage.
Adesso per vestire vintage basta frugare nell’armadio di mamma reinventando qualche capo o qualche accessorio e stravolgendo così lo stesso concetto di moda. Per vestire Vintage non ci sono vere e proprie regole da seguire, ciò che conta è il modello, il taglio, il colore. Il Vintage va oltre la rivisitazione di pezzi d' epoca e al giorno d’oggi è diventato un vero e proprio fenomeno di moda, perché abbinato alle creazioni più attuali degli stilisti.

COME FARE PER DISTINGUERE UN “VERO” CAPO VINTAGE
Innanzitutto Vintage non è sinonimo di sporco o di orli strappati. Le targhette presenti sui capi, quelle con le indicazioni sulle modalità di lavaggio, sono un’introduzione relativamente recente, a partire dagli anni ’60; quindi abiti confezionati nel decennio precedente non presentano tale accortezza. Sempre degli anni ’60 è la comparsa delle prime cerniere lampo in plastica; negli anni ’50 gonne e pantaloni presentavano cerniere di chiusura sui lati, né davanti né dietro.
I capi vintage, in genere, sono caratterizzati da tessuti di alta qualità e tagli sartoriali più raffinati e preziosi delle attuali produzioni. Molti capi degli anni ’30 e ’40 erano prodotti in nylon.

COME CONSERVARE UN CAPO VINTAGE
Si consiglia di avvolgerlo in carta velina o di riporlo in una scatola di cartone.


Ma il vintage non è solo un fenomeno riferito all'abbigliamento...


1 commento:

Sara ha detto...

Ciao, spero proprio che tu visualizzi il mio commento....sono una studentessa di progettazione della moda, ho trovato il tuo articolo molto interessante e volevo sapere se hai qualche consiglio da darmi su quali libri o riviste consultare sul vintage...sto scrivendo la tesi e sono un po' ferma su questo punto...
Ti ringrazio in anticipo!
Sara